di Rossella Di Palma (DVM – CVA)  Specialista in Sanità Animale, Allevamento e Produzioni ZootecnicheMedico Veterinario Esperto in Nutrizione e Dietetica Clinica (FNOVI), Medico Veterinario Esperto in Agopuntura e Medicina Tradizionale Cinese (FNOVI). Corso di Perfezionamento in PNEI Veterinaria

Sono arrivata alla conclusione che i proprietari dividano gli alimenti commerciali in questi due grandi gruppi. Se il mangime fosse una fotografia, per la maggior parte di chi lo acquista, sarebbe in bianco e nero, con toni ben contrastati. Nella mia mente, invece, il mondo del cibo industriale assomiglia molto di più a un quadro impressionista, colorato e ricco di sfumature.

Sono un veterinario pro-mangime? Direi di no, dal momento che suggerisco alla quasi totalità dei miei clienti l’alimentazione fresca. Ciononostante, accetto di consigliare anche l’alimento commerciale più appropriato per un dato caso. Provate, per esempio, a convincere un gatto che ha mangiato crocchette per tutta la vita ad addentare una coscia di pollo: rischia di essere una causa persa. Oppure, se un proprietario non può, e non vuole cucinare, perché non dargli prima la possibilità di provare a migliorare la salute del proprio animale con un cibo pronto? Non mi piacciono gli estremismi, ma questo non fa di me una sostenitrice dell’alimento commerciale.

Però… I mangimi esistono e molti proprietari scelgono di continuare ad usarli e, a questo punto, a me non resta che cercare di conoscerli meglio, sulla carta prima, e sul campo dopo, in base ai risultati che si rendono visibili sui pazienti. Quando consiglio un alimento finalizzato alla gestione di una patologia mi oriento su aziende piuttosto note, sul mercato da anni e spesso facenti capo a multinazionali: a volte i proprietari scrollano il capo.

I proprietari della tipologia “coscienzioso-attento”, infatti, informandosi e leggendo tantissimo, rifiutano categoricamente di scendere a patti con certe marche, che sono in genere quelle suggerite dal veterinario. I veterinari (non parlo di veterinari nutrizionisti nello specifico, ma di veterinari in generale) suggeriscono i mangimi che conoscono, e i mangimi che conoscono sono quelli che vengono loro presentati attraverso degli “informatori”. Nel dialogo con il veterinario, queste aziende, mettono al centro le patologie gestibili attraverso la dieta, come il diabete, o l’insufficienza renale, ne cito due a caso. In questa ottica, le aziende fanno sia informazione che, formazione: dall’inizio della pandemia ho personalmente beneficiato di decine (o forse centinaia?) di webinar la cui gratuità è legata alla sponsorizzazione da parte di grandi aziende mangimistiche.

Questo non fa di me un veterinario “prezzolato”, ma fa di me un veterinario che conosce la logica e la ricerca che stanno dietro a determinati prodotti. Mi piacciono? Nì, alcuni sì, e alcuni no, ma devo ammettere, che in taluni casi – decisamente molto felini – sono stati la chiave di volta. Parimenti, negli anni, a fronte di vicende poco chiare e del possibile nesso, non ancora del tutto chiarito, tra cardiomiopatia dilatativa e mangimi grainfree ho perso una quota di fiducia nelle aziende minori, quelle che ai proprietari piacciono tanto perché sembrano “meno commerciali”. Abili manovre di marketing hanno orientato i proprietari verso i mangimi grainfree, verso i pressati a freddo, verso le inclusioni botaniche, verso le carni esotiche, ma nessuna di queste caratteristiche può essere ritenuta rivoluzionaria, né necessariamente migliore!

Vi confesso una cosa: tutte le aziende mangimistiche hanno finalità commerciali, o non sarebbero aziende! Non esistono aziende piccole “buone” e aziende grandi “cattive”, questa dicotomia è irreale: esistono aziende mangimistiche e basta. Possono esserci aziende mangimistiche con punti di forza e con punti di debolezza.


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