di Rossella Di Palma (DVM – CVA)  Specialista in Sanità Animale, Allevamento e Produzioni ZootecnicheMedico Veterinario Esperto in Nutrizione e Dietetica Clinica (FNOVI), Medico Veterinario Esperto in Agopuntura e Medicina Tradizionale Cinese (FNOVI). Corso di Perfezionamento in PNEI Veterinaria


Complice l’ennesimo webinar frequentato, ho qualcosa da dire, al fine di offrirvi una chiave di lettura un po’ nuova. Il titolo del webinar, per la cronaca, è “Decoding Pet Food Labels, Part 1”, a cura della Canadian Academy of Veterinary Nutrition. L’argomento, intuibile da chiunque sappia l’inglese è capire le etichette dei mangimi.
Doccia fredda: non è possibile capire la qualità di un mangime leggendo l’etichetta, lo dico sempre ai miei clienti e ai miei corsi. Scegliere un mangime è, in buona sostanza, un atto di fede nei confronti dell’azienda produttrice.
Ma allora… Dottoressa, lei che mangime consiglia? Qual è il mangime migliore? Personalmente, proprio a causa dell’impossibilità di vedere con i miei occhi la qualità delle materie prime e dei processi produttivi, consiglio la dieta casalinga, che ci permette di scegliere in prima persona cosa mettere nella ciotola. Che poi ci siano mangimi che, per lo meno sulla carta, mi ispirano più di altri, è indubbio, ma elementi per certificare che siano davvero migliori io non ne ho.
A prescindere, il mangime “migliore in assoluto” non esiste, qualsiasi alimentazione deve essere tarata sul paziente, al di là dell’etichetta. Quando scegliamo una dieta, o un mangime, gli elementi utili a capirne la validità sul nostro cane sono:
– Un diario alimentare (su cui segnare eventuali reazioni, come vomito, diarrea, flatulenza…)
– Il BCS e l’MCS (Body Condition Score e Muscle Condition Score), ovvero la condizione corporea e quella muscolare
– Le caratteristiche delle feci (esistono scale di valutazione)
– L’andamento del peso
– La gestione dei sintomi *se si tratta di una dieta pensata per particolari patologie
– La gestione dell’andamento della malattia *se si tratta di una dieta pensata per particolari patologie
La dieta migliore, per il nostro cane (o gatto) è quella che meglio fa esprimere le condizioni soprastanti, sommate tutte insieme.
Le etichette ci aiutano in tutto questo? No. Le etichette non sono fatte per guidarci nelle tenebre, esistono per due motivi ben precisi: 1) soddisfare i requisiti imposti dalla legislazione e 2) promuovere la vendita di un prodotto. In definitiva le etichette sono sia un documento legale, sia un veicolo di promozione pubblicitaria. In etichetta troviamo pertanto le informazioni richieste dalla legge (informazioni sul produttore, lotto, tenori analitici, lista ingrediente) presentate nel migliore dei modi. Le aziende produttrici sono bravissime, ed è logico che sia così, a presentare la loro merce nel migliore dei modi.
Io stessa, anni fa, ho aderito a quel filone di “romantici” che cercava di capire il valore di un mangime attraverso la lista degli ingredienti: a quei tempi qualche informazione attendibile la si ricavava. Oggi è molto più complesso: i produttori sanno che i proprietari tendono a basarsi sulle caratteristiche della confezione e sulla lista degli ingredienti che, pertanto, è diventata quasi impossibile da decodificare in chiave qualitativa.
L’unica cosa di veramente sicuro che abbiamo in etichetta sono i tenori analitici, ovvero la % di proteine, fibre e grassi, alcuni tenori analitici relativi a determinati minerali e una lista di additivi. La % dei carboidrati non c’è mai (ma può essere ricavata), quella dell’umidità tende invece essere presente. Alcuni prodotti rivelano anche quante kcal per 100 grammi sprigionano, altri obbligano il veterinario a fare i calcoli. Ovviamente più informazioni fornisce l’azienda, meglio è.
Diversi nutrizionisti (nella mia esperienza tanti di loro sono di scuola anglosassone) insistono sul fatto che sia necessario ragionare sui “nutrienti” più che sugli ingredienti, perché sono l’unico dato certo che abbiamo. E’ vero… sì… ma ragionare solo sui nutrienti ci dice poco sulla qualità degli ingredienti, sul valore biologico e sulla digeribilità. Verissimo di nuovo, ma… allora che facciamo? Dovremmo, secondo loro, basarci sui risultati di test di somministrazione effettuati “in vivo” dalle aziende. Già, ma… quante aziende fanno seguono questo iter? Pochissime, solo le più grandi, quelle che fanno più ricerca e che sono in mano a multinazionali…
E le aziende piccole? Hanno una forza economica e uno staff tali da potersi permettere test di somministrazione su larga scala? Generalmente no, ma questo non basta a dire che i loro mangimi non siano validi…
Il mistero si infittisce, il labirinto si allarga. 


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