di Rossella Di Palma (DVM -CVA) Specialista in Sanità Animale, Allevamento e Produzioni Zootecniche, Allevamento e Produzioni Zootecniche, Medico Veterinario Esperto in Nutrizione e Dietetica Clinica (FNOVI), Medico Veterinario Esperto in Agopuntura e Medicina Tradizionale Cinese (FNOVI)

Qualche giorno fa ho frequentato uno dei miei soliti webinar, scegliendo, questa volta, un argomento non clinico, bensì di più ampio respiro. Pur rimanendo in ambito “nutrizione” ho deciso di imparare qualcosa in più sui collegamenti tra nutrizione dei piccoli animali ed ecosostenibilità.

Qualche tempo fa ne parlavo con una mia cliente: dicendo, tutta bella la nutrizione ad hoc, a misura di soggetto, ma tutto ciò ha un costo ambientale. Non so dirvi se l’impatto di una mia dieta casalinga sull’ecosistema sia maggiore di quello di un mangime, ma non è questo il punto, il punto è che l’alimentazione degli animali domestici ha un impatto sull’ambiente. Il tema della sostenibilità ambientale dell’allevamento degli animali a reddito è piuttosto noto agli addetti ai lavori e, molto probabilmente, anche l’uomo della strada ha letto almeno una volta una di quelle tabelle in cui stanno scritte quanta acqua, quanto cibo e quanto inquinamento siano legati alla produzione di una bistecca.

Ma il cane e il gatto? Che, per giunta il gatto, in quanto carnivori (o carnivori adattati) sono l’ultimo anello della catena, ovvero mangiano carne, la cui produzione ha già di per sé un impatto ambientale? Che poi, a voler ben guardare, se un bovino ha come compito quello di trasformarsi in carne, o in latte (animale da reddito), rarissimi sono i cani che si guadagnano da vivere “lavorando”, e meno ancora i gatti adottati per scacciare i topi. I cani e i gatti che vivono con noi sono stati scelti per farci compagnia, questo è il loro lavoro: importantissimo da un lato emotivo, ma poco “misurabile” in maniera oggettiva.

Quindi, vediamo innanzi tutto di capire cosa dobbiamo tenere in considerazione se vogliamo affrontare il problema “impatto ambientale dei pet”: 1) il possedere animali da compagnia; 2) l’impatto ambientale degli alimenti per animali; 3) l’impronta ecologica/impatto ambientale; 4) le considerazioni etiche e sul benessere, considerazioni che vanno riferite sia agli animali da compagnia, sia agli animali da reddito di cui i nostri pet si nutrono.

Il primo nodo da sciogliere è legato al possesso di animali da compagnia. Possedere un cane, o un gatto, non è necessario, può farci piacere, ma non è “necessario”, il che significa che, in un certo senso, il nostro cane, o il nostro gatto, sono agenti “inquinanti”. Non lavorano, non hanno un ruolo nell’ecosistema, sono un lusso che noi occidentali “ricchi” possiamo permetterci. Un cane dell’Africa sub-sahariana ha senza dubbio uno stile di vita molto diverso dai nostri. Noi invece abbiamo un cane per il piacere di averlo, a volte abbiamo 3 o 4 cani, per il piacere di averli… Oppure abbiamo cani molto grandi, che di fatto non ci servono; o cani molto piccoli, o dalla conformazione innaturale, che richiedono laboriose cure veterinarie… e farmaci, anch’essi inquinanti. L’animale da compagnia è diventato un bene superfluo o, se preferite, un bene di lusso.

Quanto appena scritto si riallaccia al punto 3: quanto è eticamente sostenibile possedere animali da compagnia? I Punti 2 e 4, invece, spostano l’attenzione dall’animale da compagnia al cibo che lo alimenta mettendoci in condizione di dover riflettere su quali scelte “alimentari” siano etiche e sostenibili.

[CONTINUA]


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